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Sùpplici, Le.

Titolo di due tragedie greche. ║ Tragedia di Eschilo, unica pervenutaci di una trilogia che comprendeva anche gli Egizi e le Danaidi e il dramma satiresco Amimone. La cronologia delle S. è ancora in discussione: fino a pochi anni fa gli studiosi sostenevano una datazione molto alta, intorno al 490 a.C., basandosi soprattutto su elementi interni che deponevano per una arcaicità letteraria della composizione (ampiezza delle parti corali, coro protagonista, semplicità dei dialoghi ed elementarità dei monologhi, ecc.). Da un papiro recentemente scoperto, però, gli studiosi hanno tratto la notizia che le S. furono rappresentate per la prima volta insieme a drammi di Sofocle, tanto che la data più probabile sembra essere il 463 a.C., quindi dopo la composizione dei Persiani e dei Sette contro Tebe. A sostegno di questa datazione più recente bisogna ricordare che Eschilo ha spesso arcaizzato volontariamente nelle sue opere, al punto che - ricordando l'arcaicità estrema delle sette coppie dialogiche dei Sette contro Tebe - non devono stupire elementi altrettanto arcaici in una tragedia di poco posteriore. Inoltre, la profondità del pensiero religioso, la concezione quasi monoteistica di Zeus quale supremo reggitore dell'universo, assai vicina a quella espressa anche nell'Orestea, possono essere a buon diritto attribuite alla maturità dell'artista. È difficile cogliere pienamente il senso tragico delle S., in quanto mancano le due tragedie che ne costituivano lo sviluppo: le 50 figlie di Danao, per sottrarsi alle nozze non desiderate con i loro cugini figli di Egitto, fuggono dalla loro terra e si rifugiano con il padre nella città di Argo, supplicando (donde il titolo) il re Pelasgo di accoglierle e difenderle. Davanti all'indecisione del re (combattuto tra l'inopportunità politica dell'ospitalità e dall'esigenza della pietà religiosa che la imponeva), le fanciulle minacciano il suicidio pur di non dover sottostare al giogo del matrimonio; ciò spinge il re all'accoglienza. Nella seconda tragedia, le Danaidi vengono comunque costrette alle nozze, ma durante la prima notte uccidono di concerto i loro sposi. Solo Ipermestra disobbedisce e salva il marito Linceo. Nell'ultimo atto della trilogia, la stessa Ipermestra viene sottoposta a giudizio per aver tradito le sorelle, ma è assolta dalla stessa Afrodite che spiega la legge cosmica e ineludibile dell'amore. Alla luce dello svolgimento globale della trilogia, sembra che il nucleo tragico delle S. stia nella doppia natura delle Danaidi, che da un lato appaiono come vittime ma dall'altro come colpevoli, in quanto cercano di sottrarsi al volere divino, alla legge che, attraverso l'amore, governa il cosmo e ne assicura la sopravvivenza. Infatti la fuga dall'uomo e dal matrimonio (ancorché violento e imposto) si configura come hýbris, come disprezzo dell'ordine di cui Zeus è garante supremo. ║ Tragedia di Euripide, datata (sulla base di elementi stilistici e contenutistici ma soprattutto per i riferimenti interni ad eventi storici, come la sconfitta ateniese di Delio del 424 a.C.) al 423-422 a.C. In questo dramma Euripide riprese un episodio mitico già trattato da Eschilo negli Eleusinii, cioè la restituzione, per intervento del re ateniese Teseo, dei corpi dei sette eroi argivi che avevano combattuto a sostegno di Polinice alle porte di Tebe. Nella tragedia eschilea, però, la restituzione avveniva pacificamente, mentre Euripide scelse la versione bellicista del mito, sicuramente ispirato dalla storia attuale di Atene, che, impegnata nella guerra del Peloponneso, aveva trattato proprio nel 424 la restituzione dei caduti alla battaglia di Delio. Argomento delle S. è il pellegrinaggio che le madri e le mogli degli eroi argivi caduti compiono fino a Eleusi per supplicare Teseo di ottenere dai Tebani la restituzione dei cadaveri dei loro cari. Per intercessione della madre di Teseo, Etra, il re offre il suo aiuto e, dopo uno scontro armato (che sulla scena viene solo narrato da un messaggero), i corpi vengono riconsegnati. L'opera è di grande interesse tanto sul piano compositivo quanto su quello contenutistico: al primo livello si nota una singolare staticità dell'azione, accentuata dal valore rituale di numerosi elementi tra cui, in particolare, i thrénoi (le lamentazioni funebri) pronunciate sui caduti, le monodie che si alternano ai canti corali, le sticomitie di grande páthos e il gesto altamente drammatico della morte di Evadne sul rogo del marito Capaneo, al quale ella non tollera di sopravvivere. Per quanto riguarda il secondo livello, la critica ha sempre evidenziato la sua estrema politicità e attualità, riconoscendo in Teseo una sorta di mitizzazione dello stesso Pericle, difensore e promotore dei valori, sentiti come tipicamente ateniesi, della democrazia e del diritto. All'elogio ottimistico della ragione e delle qualità umane - espresso sempre per bocca di Teseo - in forza delle quali il bene vincerebbe sempre sul male, fa tuttavia da contrappeso la profonda analisi del dolore e della caducità dell'uomo - di cui sono voce non solo le singole figure di Etra o di Evadne, ma l'intero gruppo del coro, che incarna il dolore e la preghiera collettiva dell'umanità.